giovedì 11 giugno 2015

Marcello, Jane Austen e una stanza tutta per sè

Poco più di un mesetto fa il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto ha riaperto al pubblico dopo una pausa dedicata al radicale miglioramento delle sue infrastrutture. Con l’occasione è stata inaugurata anche una mostra che mi porterò dietro per parecchio tempo, non solo perché ci sto lavorando sopra cercando di raccontarne la protagonista agli amici al di qua del confine, ma anche perché tocca molte delle mie corde più intime. L’eroina della nostra storia è «Marcello», ovvero Adèle d'Affry (1836-1879), duchessa di Castiglione Colonna.  Una donna dunque, e una scultrice, come la mia amata Genni Wiegmann Mucchi.

Quella di Marcello è stata una vita breve, al centro dell’élite artistica del tempo e immersa tra personalità come quelle di Courbet, Delacroix, Merimée, Napoleone III, l’imperatrice Eugenia, Manet, Berthe Morisot... La mostra presenta così per la prima volta al pubblico di lingua italiana l’opera interessante e originale di questa artista friburghese, che tanti legami ebbe con l’Italia e che passò anche per la mia Milano.

La vita e l’opera delle donne artiste, siano esse pittrici, scultrici, scrittrici, hanno avuto di recente una nuova fortuna. Se a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento si sono sviluppate ricerche sulla storia delle donne finalizzate a dare visibilità a un soggetto a lungo tenuto ai margini delle indagini tradizionali, negli ultimissimi anni il ruolo femminile nella storia e nella storia dell’arte è stato irradiato di nuova linfa vitale.

Oggi l’arte realizzata da mani femminili non viene affrontata solo in quanto tale, ma anche come strumento per approfondire alcuni temi specifici, come quelli della famiglia, del lavoro, della cittadinanza, del rapporto tra sfera pubblica e domestica, della guerra, del corpo e della maternità, della religione e dell’istruzione. Un modo nuovo per ricostruire il vissuto delle donne (e degli uomini) e le loro esperienze singolari e collettive.

Per Marcello, però, c’era qualcosa in più che solleticava le mie corde.

Proprio com’è accaduto per lungo tempo all’opera di Jane Austen, infatti, così anche la produzione di Marcello (pur con i naturali distinguo tra arti e talenti) è stata troppo a lungo trascurata, probabilmente perché ritenuta un’arte di “non rottura”, un’arte per certi versi conformista, esposta nei Salons e riconosciuta dunque come “conservatrice” laddove il Novecento amava invece la novità delle avanguardie. Esattamente la stessa sorte hanno a lungo avuto i romanzi di Jane Austen, erroneamente interpretati come opere perbeniste e prive di spessore letterario, tutte trine e sposalizi. Solo alcuni personaggi di valore assoluto hanno intuito la forza e l’essenza delle opere della Austen, riconoscendola come «genio meraviglioso» (secondo le parole di Vladimir Nabokov) o come «la più perfetta artista fra le donne» (come la definì Virgina Woolf). Giudizi, questi, che raccontano un’eccezionale capacità di decodificazione e una profonda conoscenza della vita e dell'opera di Jane, oltre che una sensibilità assolutamente fuori dall'ordinario.

Così, pur coi dovuti distinguo, anche la vita e l’opera di Marcello, proprio come quella di Jane Austen, sono state a lungo sottovalutate. Adèle è stata una donna che ha utilizzato la sua arte in maniera professionale, anche come necessario introito economico, esattamente come facevano gli uomini e come aveva fatto la Austen. E’ stata una scultrice che ha trovato nella sorella la sua prima e più cara confidente (come la Austen la trovò in Cassandra), affidando alla scrittura e all’arte epistolare tanta parte di se stessa (esattamente come Jane). Adèle non si firmò col suo nome, si celò dietro a quello di Marcello, proprio come la Austen si firmò inizialmente “A Lady” per mantenere l’anonimato e per non incorrere nella condanna della società in cui viveva.
Per questo quando la direttrice Gianna Mina e la responsabile della comunicazione Tiziana Conte mi hanno presentato per la prima volta la figura di Marcello, mi è sembrato che il Museo Vincenzo Vela regalasse ad Adèle “una stanza tutta per sé”, quel luogo indispensabile per essere artiste che Virginia Woolf raccontò così sapientemente e amorevolmente nel suo saggio diventato leggenda.
Ma, nella storia di Adèle c’è un altro elemento sorprendente: si tratta del ritrovamento delle lettere dell’artista, rinvenute nello scrittoio dello Château d’Affry a Givisiez, dove aveva a lungo vissuto. 
E allora d’improvviso mi è parso che un elemento letterario che ha sancito la fortuna di romanzi come Possessione di Antonia Byatt diventasse realtà, plasmasse la realtà medesima. Quasi che in fondo, come scriveva Senofonte "Queste cose non accaddero mai, ma sono sempre", come nei miti antichi.

1 commento:

  1. Carissima, quanti punti di contatto tra queste due Splendide Donne, che pur appartengono a luoghi e tempi diversi - diversi tra loro, diversi da noi - e che rivivono nel nostro oggi come se fosse il loro presente. Sarà che vediamo Jane Austen ovunque (She's everywhere!), ma credo che la storia delle donne che hanno cercato indipendenza materiale e spirituale da un mondo molto poco femminile abbia sempre dei comuni denominatori. Che Virginia ha capito e spiegato come nessun trattato di sociologia, psicologia, storia, ecc. ecc. potrà mai fare, cristallizzando tutto in quel folgorante, eloquente "una stanza tutta per sé".
    Grazie per questa bella conversazione.
    [Buonissima visita a Chawton!]

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